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Commento di Massimo Conti alla foto “Rimini, 1977” di Luigi Ghirri

Come spesso accade  quando mi trovo davanti  per la prima volta a una fotografia di Ghirri che non conosco rimango stupito  dalla mole di contenuti  che il fotografo emiliano riesce a stipare in  un’immagine all’apparenza semplice e banale . In Ghirri fotografo scopro sempre inevitabilmente il  Ghirri sociologo che indaga il nostro io collettivo con la sensibilità di uno scanzonato poeta. Come nell’immagine di cui vi voglio parlare: Rimini, 1977. Chiunque di noi, credo, nel fotografare il chiosco, a forma di macchina fotografica, che vende e sviluppa i rullini ai turisti avrebbe aspettato che la strada fosse sgombra di veicoli: io almeno avrei scelto quel momento lì. Ghirri, invece, per accentuare lo spaesamento ne infila nell’inquadratura ben tre, più l’ombra di un quarto. Ma fate attenzione ai colori delle tre auto: sono le tinte “ghirriane” per eccellenza. L’azzurro cielo, la FIAT 128, e la pennellata calda, in questo caso un FIAT 500 gialla. E poi per raccordare il tutto il bianco e nero della FORD che riprende i colori del chiosco. Tutto casuale? No. Andate a sfogliare i suoi libri fotografici e vi accorgerete dell’uso sapiente di queste tinte, usate da  Ghirri per raccontare la sua visione della realtà. Dietro Rimini, 1977 ci sono secondo me decine e decine di scatti tra i quali ha selezionato quella precisa foto. C’è in questa immagine lo spaesamento dell’intellettuale di fronte ad una modernità senza scrupoli che svuota le strade dalle gente per riempirle di auto: sul marciapiede si intravedono solo poche persone e un bambino accucciato che gioca  da solo; è la riviera adriatica, irriconoscibile e sradicata dal suo contesto, sinonimo di divertimento e spensieratezza , trasfigurata in una delle tante periferie di una qualunque città: emblematici i profili dei palazzoni che accentuano la piccolezza e il senso di smarrimento del ragazzino.  Ma il tema centrale dell’immagine è il dialogo muto tra il fotografo e il mezzo fotografico: Ghirri allo stesso tempo è oggetto (lui davanti all’obbiettivo della grande macchina fotografica/chiosco) e soggetto (lui che sta fotografando il chiosco/macchina fotografica) della sua stessa opera.  Il gigantesco apparato tecnologico sovrasta tutto e tutti e Rimini, 1977 induce a pensare che Ghirri percepisse già , da buon profeta, l’avvento di una società dominata da una  tecnologia invasiva dove il mezzo fotografico e le sue estensioni (TV, telefonia, web) sarebbero diventate mezzi per il controllo delle coscienze. Non a caso volle collocare Rimini, 1977 a chiusura del suo libro fotografico Kodachrome del quale disse che fosse “un buon punto di partenza per fare un lavoro completamente diverso con la fotografia e che non sia sempre e soltanto il fatto di fare un bella fotografia che si mostra e si esibisce, ma sia un qualcosa che ha una sua struttura narrativa, un suo filo conduttore.”

Massimo Conti

RIFLESSIONI PRELIMINARI ALL’USCITA FOTOGRAFICA DELL’ 8 OTTOBRE

ph. Guido Zonghetti

 

Sabato 8 Ottobre si è svolta la prima uscita fotografica del corso FANO-URBINO. Cristian Vescovi, uno dei nostri collaboratori, ci ha lasciato delle riflessioni personali che condividiamo con tutti i corsisti. Spunti utili per affrontare il tema del paesaggio mediante la fotografia:


Consultando i comuni dizionari della lingua italiana alla parola “paesaggio” si danno definizioni del tipo “parte del territorio che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato” oppure, forse più appropriato per il nostro campo applicativo “una porzione di territorio come appare a chi lo guarda“.

Nella Convenzione Europea del Paesaggio al capitolo 1, articolo 1 si legge: “Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.territori

Diciamo subito allora che il paesaggio non è il territorio, il paese o il sito ma è il risultato dell’interazione tra un soggetto (persona) e questi ultimi.

Il soggetto (persona) è in definitiva parte integrante del paesaggio che compone; nessun paesaggio senza soggetto!

Attenzione. La parola “paesaggio” contiene in sé una ambiguità; nello stesso termine convivono due significati distinti:

– paesaggio come spazio visto e quindi esperienza di una persona che si rapporta ad un territorio.

– paesaggio come rappresentazione artistica e/o tecnica.

Durante le nostre uscite ognuno farà esperienza del paesaggio inteso come spazio visto ed attraverso la fotografia ne darà la propria rappresentazione tecnico-artistica (paesaggio-immagine).[1]

Nella fase di rappresentazione del paesaggio attraverso il mezzo fotografico emerge uno dei caratteri fondamentali della fotografia “l’inquadratura”; per forza di cose occorre scegliere cosa includere e quello che si vuole lasciare fuori dalla rappresentazione.

“Questo è il problema fondamentale della fotografia, cioè sapere esattamente che cosa voglio rappresentare e che cosa voglio comunicare con la mia immagine”[2].

Per quanto attiene alle nostre uscite la prima parte del problema, è risolto, è il tema del corso[3]!  per la seconda parte non c’è che l’imbarazzo della scelta, all’interno dei tre temi principali (la strada Flaminia, il fiume Metauro e la linea ferroviaria Metaurense) le chiavi di lettura sono innumerevoli e tutte ugualmente valide[4].

Dato che la materiale realizzazione dei concetti sopra esposti avviene tramite la fotocamera è opportuno (per quanto possibile) un suo utilizzo in modalità manuale quale strumento per aumentare la consapevolezza dell’influenza dei vari settaggi sul risultato finale. In fondo se fotografia significa “scrittura con la luce” la fotocamera è la nostra penna e una penna che scrive da sola sarà comoda ma un po’ (troppo) invadente.

 


[1] Per approfondire questi concetti si veda Michael Jakob, “Il paesaggio”, Il Mulino, 2009.

[2] Luigi Ghirri, “Lezioni di fotografia”, Quodlibet Compagnia Extra, 2010.

[3] Fano↔Urbino, luoghi e vie di comunicazione.

[4] Il rapporto tra le tre realtà indagate e la popolazione, come le tre realtà indagate hanno influenzato lo sviluppo urbano all’interno del territorio, voler evidenziare dettagli urbani o naturali, proporre una vista panoramica a grande scala quasi topografica, la veduta idilliaca da cartolina (perché no, basta che sia scelta consapevole), l’intento artistico o performativo, e via così all’infinito…